Il mondo non ha bisogno né di “santini” né tantomeno di “santoni”, ma di grandi santi che indichino con sicurezza la via di Dio. Uomini che incarnino gli ideali e trascinino i fratelli col loro fascino che, oso chiamare, “buon odore di Cristo”, autentici “leaders” spirituali.
Domenica 12 settembre a Varsavia viene beatificato uno di questi uomini, un beato in più che ho conosciuto personalmente: il Cardinale Stefano Wyszynski, Arcivescovo di Varsavia e Primate della Polonia. Un grande uomo, un grande santo. Il cardinale Silvestrini, che di politica se ne intendeva, mi disse che i due più grandi politici del secolo scorso sono De Gaulle e Wyszynski. La storia del primo è a tutti nota e il secondo seppe per decenni opporsi frontalmente al regime comunista, senza mai destabilizzarlo, evitando così l’invasione russa. Era un grande vescovo. “Capii che dovevo rappresentare la fede del mio popolo ed è stata proprio questa fede che mi ha sorretto nei momenti più difficili e impegnativi del mio essere loro vescovo”, dichiarò in un memorabile incontro al Seminario Romano parlando ai seminaristi. Quando uscì in francese il Diario della sua prigionia, lo lessi tutto d’un fiato ed ebbi l’occasione di parlarne col Papa, che rimase stupito come non avesse avuto ancora quella pubblicazione e alla mia richiesta se lo avesse conosciuto bene aggiunse: “Benissimo, posso dirti che era un mistico”. Solo un uomo di preghiera poteva reggere nella serenità della totale padronanza di sé e nella consapevolezza del suo ruolo di pastore in tre anni di completo isolamento, ma durante il quale scriveva al Presidente della Repubblica con la più totale libertà chiedendo quanto gli serviva, soprattutto libri, e presentando continuamente i suoi diritti di cittadino di essere giudicato da un tribunale prima di essere messo in prigione. Pio XII ne riconobbe il valore e insieme a Mitzenty e Stepinac lo fece cardinale durante la sua prigionia.
Sentiva la pienezza della sua responsabilità di vescovo e di Primate senza delegarla a nessuno. Quando nei contatti della Santa Sede col governo polacco il Card. Casaroli si recò a Varsavia, aveva con sé una lettera, che fece leggere al Primate, in cui Paolo VI scriveva che non sarebbe stato deciso niente senza aver consultato prima il Cardinale Primate.
Com’è riuscito a reggere in lotta col regime comunista, supervigilato in ogni suo movimento, poi segregato per tre anni in un totale isolamento? Gli chiese un seminarista in quella sua memorabile visita al Seminario Romano. “Nella mia vita non ho mai avuto paura. Perché – e cominciò a parlare in latino- Quia est Deus, sed non Deus tantum sed Deus Israel, Iddio che vince sempre”; e mentre parlava così dalla sua Persona traspariva una forza che sembrava incarnare tutto quel coraggio con cui reggeva il suo popolo.
Quando la Chiesa beatifica e canonizza un suo figlio riconosce essenzialmente che la sua vita è stata conforme al Vangelo. Ratzinger nel suo libro “Gesù Cristo”, commentando le beatitudini, dice che una delle forme di esegesi del vangelo è la vita dei Santi. Vuoi sapere cosa vuol dire “beati i poveri”, guarda San Francesco, “Lo avete fatto a Me”, guarda santa Teresa di Calcutta, “Andate in tutto il mondo a predicare il mio Vangelo”, guarda San Francesco Saverio. Credo che lo Spirito voglia dirci: Vuoi sapere come deve essere un vescovo per i tempi difficili? Guarda il Card. Wyszynski e soprattutto: “Non aver paura di nulla, se il Signore è con Te”. Parlando del cardinale Elia Dalla Costa, di cui si potrebbe dire quello di cui sopra, mio cugino, l’Arciprete del Duomo di Firenze, mi disse di essersi rifiutato di andare a deporre per la sua causa di canonizzazione: “Perché se lo fanno santo o beato rovinano un uomo come Dalla Costa, un uomo che ebbe il coraggio di opporsi a Hitler e a Mussolini, lo fanno diventare un santino e lo liquidano con qualche candela accesa”. E’ sicuramente un rischio che non auguriamo al Card. Wyszynski, anche perché credo che non sia un tipo da santini, ma un uomo in cui la Grazia ha operato grandi cose e che la Chiesa ci propone oggi come modello evangelico da imitare.
Mons. Giuseppe Mani