Quando giunsi a Cagliari come arcivescovo di quella diocesi rimasi colpito dalla fede di quel popolo ma anche da un fenomeno che non gli corrispondeva: il gran numero di matrimoni civili. Studiai il fenomeno e fu chiaro. In quell’Isola la celebrazione del matrimonio ha una grande importanza, coinvolge non soltanto i parenti ma quasi tutto il paese con feste costose e regali che poi si devono ricambiare.
Quando arrivava l’ora di sposarsi si ricorreva al matrimonio civile, che non prevede la festa, per rimandare a tempi migliori quello religioso con relativi festeggiamenti. Così si diventa genitori, e anche nonni e“la festa” non si fa. Le mogli vanno a Messa senza fare la comunione, gli uomini non si pongono il problema della Messa domenicale. Li aspettava però una circostanza particolare. Infatti come è sentita la celebrazione del matrimonio è altrettanto sentito il dovere di padrino e madrina al battesimo e alla cresima… e lì avveniva lo scontro col parroco che non rilasciava l’autorizzazione ai non sposati in chiesa. Ricordando i miei studi di Diritto canonico trovai subito la soluzione: dissi ai parroci di mandare dal vescovo tutti coloro che volevano fare i padrini e che non erano sposati in chiesa. Non vi dico la felicità dei parroci. All’aspirante padrino o madrina chiedevo perché non erano sposati in chiesa e la ragione era quella descritta sopra, e che aspettavano il venticinquesimo per farlo.
«Ma Lei ha intenzione di divorziare?».
La risposta era pronta: «Ma sta scherzando? Siamo già nonni!».
«Se doveste sposarvi adesso lo rifareste con la stessa persona?».
«Cento volte».
«Ecco: riconosco valido per la Chiesa il vostro matrimonio. È contenta?».
«Certamente, ma posso fare la madrina?».
Più che il matrimonio l’interesse era fare la madrina o il padrino. Mi facevo portare il certificato di matrimonio celebrato tanti anni prima e lo registravo tra i matrimoni religiosi. Come Vescovo avevo fatto una “sanatione in radice” cioè avevo dispensato dalla presenza del parroco al matrimonio celebrato anni prima e riconosciuto valido quel consenso che avevano espresso davanti ad un pubblico ufficiale. Il vescovo può farlo caso per caso mentre il Papa potrebbe farlo per tutta la chiesa con un solo atto. Durante il mio ministero cagliaritano ho sanato centinaia di matrimoni.
Come è possibile tutto questo. Semplicissimo. Il Codice di Diritto canonico dice che tutti i matrimoni celebrati tra battezzati sono sacramento. I ministri di questo sacramento sono gli sposi e la forma del sacramento è il consenso che esprimono. Lo dicevano anche i romani “Consensus facit nuptias” il consenso fa il matrimonio. La chiesa ha aggiunto la forma con cui deve essere celebrato: davanti al parroco, e in assenza del parroco davanti ad un altro prete e se non c’è un prete: davanti ad un laico e se i due fossero in una situazione di totale solitudine prevedibile per un mese: davanti a Dio esprimendo il loro consenso. È chiaro che il matrimonio è valido indipendentemente dalla presenza del prete, per cui si tratta solo di una norma canonica, un fatto giuridico, che può essere dispensato, e la chiesa dispensa da questa forma, cioè dalla presenza del parroco, testimone qualificato, anche dopo tanti anni che è stato emesso il consenso che costituisce il vero matrimonio. «Ti dispenso ora per allora, “nunc pro tunc”, dalla presenza del prete che assiste alla celebrazione del tuo vero matrimonio perché sei un battezzato e“tra i battezzati non può sussistere un valido contratto matrimoniale, che non sia perciò stesso sacramento” (Can 1055 § 2)».
Mi permetto di esprimere il mio stupore rilevando che in tutti i documenti sinodali sulla famiglia in cui sono state trattate le situazioni matrimoniali più varie non è stato mai ricordata la possibilità della “sanatione in radice”. La cosa avrebbe rilevato il valore di tutti i matrimoni celebrati dai battezzati anche senza la forma canonica e soprattutto quando le coppie sposate in comune decidono di sposarsi in chiesa di dire loro che sono già sposate e che non possono sposarsi due volte ma basta sanare il matrimonio già celebrto. Vorrei dire anche che i figli nati prima della sanatione in radice, una volta avvenuta, risultano nati in una famiglia cristiana, nata da matrimonio cattolico perché i genitori quando si sono sposati erano dei battezzati. Lo stupore che forse manifestate voi adesso lo manifestano anche alcuni vescovi che cercano in qualche maniera di rendere complicata l’operazione, magari imponendo un corso di preparazione, senza rendersi conto che non concedono niente ma riconoscono un matrimonio che già esiste e che forse non è avvenuto per causa loro come avvenne in un caso che non posso non raccontarvi. Un parroco accennò durante l’omelia alla sanatione dicendo che il vescovo si era inventato tutto, per far fare la comunione a chi non è sposato in chiesa (bontà sua!). Una signora si presentò a chiedere spiegazioni e il parroco la portò da me ad esporre il suo caso. Aveva la mia stessa età, cinquanta anni prima si era presentata al parroco per sposarsi e il marito aveva aggiunto che era comunista. Il parroco gli chiese di strappare la tessera. Lui si rifiutò e andarono a sposarsi in comune. Io facevo cinquanta anni di sacerdozio proprio in quei giorni in cui loro facevano cinquanta anni di matrimonio. Gli chiesi se voleva divorziare e mi disse che era felicemente nonna e che amava il marito come quando si sposarono. Gli proposi la sanatione in radice.
«Ma mio marito non vuol sentir parlare né di preti né di chiesa».
Gli spiegai che non era necessario il parere del marito, bastava che mi assicurasse che non voleva divorziare.
«Ma noi siamo ancora comunisti!».
«Stia tranquilla, signora, i comunisti non ci sono più».
«Ma noi si».
«Non si preoccupi sono io che ho cambiato idea».
Il parroco divertito assisteva alla scena e concluse: «Allora stasera facciamo la Comunione».
«Già – aggiunse Lei- ma devo confessarmi e non so il nuovo atto di dolore».
«Signora, dica quello vecchio, tutto rientra nella sanazione».