È morto un santo: era prete.

Una volta i santi venivano fatti a furor di popolo e anche ora che per avere il titolo devono passare attraverso un processo canonico e il Padre Eterno dare il suo consenso attraverso dei miracoli , ci vuole una fama di santità prima di procedere al processo canonico. Don Carlo era un santo, il popolo di Dio lo ha ritenuto tale anche in vita e soprattutto in vita. Eppure non ha fatto niente di strabiliante, non risulta che abbia visto la Madonna nè che abbia fatto dei miracoli di ordine fisico mentre di ordine morale e spirituale veramente tanti. Dalla Sua Persona emanava quell’atmosfera di soprannaturale che pacificava l‘anima.

E’ stato un prete della mia infanzia secondo la migliore tradizione sacerdotale dei preti fiesolani. Mi parlava di Lui il suo antico parroco che lo aveva messo in Seminario, Mons. Giuseppe Bicci, di Figline Valdarno; anche lui un uomo davvero di Dio. Mi parlava di questo giovane parroco di una piccola parrocchia sui monti della Valdisieve, per intenderci a pochi chilometri da Barbiana, dove c’era un altro giovane prete, don Lorenzo Milani, ma che probabilmente non conosceva anche perché della diocesi, di Firenze.

Era Don Carlo Donati nato a Figline Valdarno nel 1926 e che dopo un anno come cappellano in una piccola parrocchia del Valdarno, Montanino, a venticinque anni fu mandato a Caiano dove viveva di preghiera e di penitenza per il suo popolo, e dove ci sarebbe restato per quasi settanta anni, fino alla morte avvenuta il 24 settembre di quest’anno. Aveva preso il diploma magistrale per poter insegnare ai suoi ragazzi diventando ufficialmente il maestro elementare della zona. Ovviamente l’aula dell’unica classe era la cucina della casa canonica dove ancora è rimasta la lavagna. Preghiera, penitenza, vita sobria e insegnamento è stata per oltre venti anni la vita di questo prete. Proprio lì il Signore lo maturava per fare di Lui un grande missionario e dalla sua piccola Caiano aprirsi alla grande Africa con la sua carità. A questo punto le parole non sono più sufficienti per parlare di ciò che ha saputo fare il Signore attraverso di Lui, qualcuno sicuramente scriverà e documenterà. Dico solo qualcosa. Conoscendo la povertà del Burkina Faso pensò di raccogliere dai medici i campioni di medicine e le medicine usate ma non completamente esaurite. Con la sua macchinuccia passava a raccoglierle nelle case di cura, negli ospedali e nelle parrocchie.
Numerosi giovani furono convocati in campi di lavoro dove integravano le scatole incomplete di medicinali, riempivano i tubetti di pomate, raccoglievano tutto e in ordine , secondo l’uso per le varie malattie, venivano inscatolate e messe nei container che poi partivano per gli ospedali del Burkina Faso che andavano avanti con questa provvidenza. Ho visto la chiesa di Caiano completamente piena di scatoloni di medicine pronti per partire. Questi campi di lavoro erano anche una vera scuola di vita cristiana. Ogni giornata lavorativa cominciava con una catechesi che don Carlo teneva sui manifesti biblici che i ragazzi stessi confezionavano e che servivano per la catechesi dei missionari. C’era lavoro per tutti. La valle di Caiano si stava spopolando e gli furono affidate diverse chiese parrocchiali rimaste senza fedeli. I giovani universitari si trasformarono in muratori per restaurare le varie case canoniche e affittarle durante l’estate ai villeggianti e mandare il ricavato alle missioni. La fama di santità e di carità di don Carlo si diffuse e non mancarono anche collaboratori qualificati e donatori generosi che offrirono la possibilità di fare grandi lavori in Africa soprattutto scavando pozzi e costruendo ospedali. Durante le vacanze non pochi giovani andavano a proprie spese ad offrire mesi di lavoro a favore di quelle popolazioni. Caiano, a cui si era aggiunta anche la parrocchia vicina di Rincine di cui don Carlo era diventato parroco era diventato un grande centro operativo di lavoro ma soprattutto il cuore pulsante di una carità che non aveva confini e il cuore di tutto era quello di Don Carlo. Un cuore innamorato di Dio.
Personalmente ho potuto verificare la forza di consolazione che offriva a coloro che stavano portando una Croce particolarmente pesante e che si rivolgevano a Lui. La Sua semplicità e il suo fascino spirituale erano irresistibili, ne sono testimone.
Queste sono le grandi opere di Dio che si diverte a fare cose grandi attraverso mezzi piccoli. Dio non fa opere piccole ma grandi, sempre grandi, come costruire ospedali, scavare pozzi, riempire seminari, muovere centinaia di giovani, asciugare lacrime, consolare i cuori, ma lo fa sempre in maniera che sia chiaro che chi opera è Lui, per questo si è servito di Don Carlo , sicuro che non gli avrebbe rubato la Gloria ma lo avrebbe glorificato senza alcun dubbio. Don Carlo, che vive come un certosino, è penitente come un trappista, mi diceva il suo vecchio parroco, ha saputo essere un missionario come il Comboni, come Francesco Saverio, rimanendo nel nascondimento della sua Caiano. L’organizzazione che dirigeva fa pensare ad un grande manager, era invece un grande prete, povero, umile ma col cuore pieno di amore e l’amore è sempre Onnipotente perché è Dio.
Lo scorso anno volli vederlo e salii a Caiano ma non c’era, era a Santa Maria delle Grazie, sopra Stia, lo raggiunsi lì. Stava partendo e mi offrì un passaggio con la sua utilitaria che guidava personalmente nonostante i suoi novant’anni, ma prima di partire volle passare a salutare la Madonna. Si mise in ginocchio e cominciò a cantare “Vergin Santa che accogli benigna chi ti invoca con tenera fede”. E’ la sua immagine che ho fissata nel cuore, l’immagine di un prete della mia giovinezza, della mia famiglia sacerdotale.

+Giuseppe Mani

 

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