Grazie Papa Francesco

Ringrazio Papa Francesco per aver fatto la cosa più difficile in questo frangente doloroso in cui si sta trovando la Chiesa: riconoscere gli errori e chiedere perdono. Mi associo pienamente al Suo dolore e anche se non ho il cuore provato come ha Lui, dopo aver incontrato le vittime degli abusi, sono uno dei membri che soffrono. D’accordo: “le ferite non vanno mai prescritte”. Il dolore di queste vittime “è un lamento che sale al cielo”, e questo mi preoccupa di più.

Diverse sono state le reazioni alla lettera del papa. Alcuni hanno offerto soluzioni al problema, altri hanno gridato ancora una volta “tolleranza zero” come se potesse esserci un male tollerabile, son certo che la maggioranza ha risposto al Papa col suo silenzio e la sua preghiera piena di sofferenza. Io sono di questi ma non posso dispensarmi da mandare agli amici questa mia anche perché, credo che il mio parere sia desiderato. Ho una innegabile autorità per potere parlare: ottanta due anni, cinquant’otto di sacerdozio, trent’uno di episcopato e sei di ministero della preghiera e della parola accogliendo persone per consiglio e svolgendo il servizio della consolazione.
La lettera del Papa è un grido ma fa anche intravedere che “il Signore nella storia della salvezza ha salvato un popolo”. Eccome se lo ha salvato e salverà anche noi nonostante noi e attraverso di noi. Nella lettera non sono rammentati i Vescovi e i preti se non in termini negativi di “clericalismo”. Eppure ritengo che si debba ripartire proprio da loro non soltanto dicendo che se i preti fossero tutti santi non ci troveremmo in questi guai ma riconoscendo con sincerità la precarietà della propria situazione e curare adeguatamente un campo di una delicatezza estrema: quello della affettività e sessualità umana. Avremo sempre a che fare col peccato dell’uomo, un po’ come con la guerra. E’ bello gridare “Mai più la guerra! Mai più la guerra!” Ma non dimenticare che il Concilio Vaticano II ci ammonisce “Gli uomini , in quanto peccatori, sono e saranno sempre sotto la minaccia della guerra, fino alla venuta di Cristo”(G et Sp 79) e così giustifica la legittima difesa. Anche noi, preti , vescovi e cardinali saremo sempre a rischio di omosessualità, pedofilia e di tutto quello che può produrre lo stato di peccato.
Era tutto previsto quando Gesù inventò il sacerdozio mettendo nelle nostre mani quanto di prezioso aveva pagato col Suo Sangue. C’è una soluzione al nostro problema: diventare preti vuol dire entrare in un corpo, in una famiglia con un padre fratelli e sorelle.
“L’uomo è sesso” ha detto Freud, anche se non è totalmente vero però è ridicolo pensare che cinque anni di seminario possano garantire una stabilità sessuale, affettiva per tutta la vita. Si parla di formazione permanente, addirittura incaricando qualcuno che organizza incontri con noiose conferenze, serve invece una accoglienza piena nel presbiterio con un Vescovo “Padre , fratello e amico” davvero, ed è proprio questo che soprattutto manca. Tanti preti, e non parliamo di religiosi, sono senza famiglia, persone sole che col passar degli anni vanno verso la rottamazione senza dimenticare che questa gente è tutta sessuata. Ho sempre formato e insegnato che l’integrazione affettiva del consacrato, se ha una vera vocazione soprannaturale, avviene nell’intimità con Cristo, ma perché questo possa avvenire si richiede un habitat umano di cui il Concilio aveva percepito la necessità parlando di presbiterio. Quand’è che i vescovi si sentiranno parroci dei loro preti preoccupandosi soprattutto di salvare loro l’anima? Ho conosciuto molto bene l’esperienza di un vescovo ausiliare di una grande città che ogni mese incontrava tutti i suoi preti visitando ogni giorno le parrocchie della sua zona: non c’era parrocchia in cui non ci fossero problemi ma la sua presenza era di consolazione e una vera grazia. Altro elemento determinante per la serenità dei preti è il contatto con gli anziani. I preti non hanno bisogno dello psicologo, almeno che non si tratti di patologie gravi, ma di uomini esperti della vita, che magari hanno letto pochi libri e molte anime. Questi si chiamavano direttori spirituali, oggi “accompagnatori” sicuramente persone di fiducia da cui ci si confessa volentieri e la cui parola è autorevole. Tutti sanno l’importanza dei nonni nelle famiglie di oggi: alla chiesa manca la presenza di nonni saggi che senza incarichi ufficiali fanno “gli anziani” di cui non si può fare a meno. Uomini sereni, pacificati, esperti della vita che mettono a disposizione il loro tempo senza guardare l’orologio e che trattano come un nonno i suoi nipoti.Uomini che hanno una normale esperienza di Dio. Nella chiesa va rivisto il ruolo degli anziani. Vengono sciupate forze preziose. Anziché l’accettazione delle dimissioni perché a settanta cinque anni non affidare loro ufficialmente il ruolo di custodi della vita interiore della chiesa: preghiera, confessioni, direzione spirituale, servizio della consolazione, aiuto a portare le croci.
Va ricostruito il tessuto ecclesiale come condizione per poter vivere il proprio sacerdozio ed essere felici del proprio celibato. Questo è il sistema con cui Gesù vuol ridare alla Sua Chiesa vitalità e forza. I sacerdoti devono sentirsi responsabili l’uno dell’altro, non vivere come estranei. I vescovi più che denunciare devono prevenire e la “prevenzione” si fa soltanto con la presenza attenta e affettuosa. Accettare di lavorare così è penitenza , è digiuno e c’è bisogno di tanta preghiera ma con la certezza che il Signore ricupererà soprattutto quelle periferie della Sua Chiesa in cui più che altrove c’è bisogno di misericordia e di perdono.

+ Giuseppe Mani

Festa di Maria Regina 2018

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