Testimonianza di Chiara

Sono Chiara e sono una novizia del monastero delle monache agostiniane dei Santi Quattro Coronati a Roma. Non è facile per me spiegare perché, quasi tre anni fa, ho scelto di entrare in monastero. Avevo ed ho tutt’ora una famiglia di cui sono profondamente orgogliosa, una famiglia bella, unita, sempre presente; avevo un lavoro che mi piaceva, in cui mi sentivo realizzata come persona; un fidanzato; tanti amici pronti in ogni istante a donarmi un sorriso; i ragazzi del mio gruppo acr che mi riempivano di gioia; un gruppo in parrocchia che camminava insieme verso il Signore…insomma, avevo tutto quello che mi serviva per essere felice.

Ma la sera, in camera, mi rendevo conto che non lo ero completamente, mancava sempre qualcosa, come se tutto quello che vivevo mi andasse stretto. Possibile che era tutto lì? Quale era il senso fondamentale della mia esistenza?
Poi, dopo vari tentennamenti ho cominciato a confrontarmi con il mio padre spirituale per far luce dentro di me, per riuscire a capire chi era veramente Chiara, quale era la missione che il Signore mi aveva affidato creandomi.

Pian piano, a volte con dolore, ho scoperto prima di tutto che io per Lui sono unica, che mi ama così come sono e soprattutto che Lui c’era sempre stato in ogni avvenimento della mia storia. Ho ripensato a tutte le volte che sono stata male, che mi sono sentita una fallita, che non capivo il perché di tutto il dolore che avevo intorno… e poi invece, passo dopo passo, ho compreso che ogni piccolo gesto: un sorriso, uno scherzo, una chiamata inaspettata, un abbraccio, una chiacchierata improvvisa, sono stati tutti “regali” che Dio mi mandava per dirmi:”ehi, io sono qui!. Non ti arrendere! Ricordi? Io faccio bene tutte le cose! Tutto quello che hai è un mio dono speciale per te, tutto quello che è accaduto e accadrà e solo per il tuo bene. Non ti ho mai detto che sarebbe stato facile, ma solo che con il cuore ci saresti arrivata! Non ti lascio sola, te l’ho promesso”. E ogni giorno mi rendo conto che è proprio così. Tutte le esperienze fatte (belle e brutte) erano collegate tra di loro e soprattutto erano sotto lo sguardo amorevole del Padre.

Tutto questo cammino mi ha portato a volerLo mettere al primo posto, ma come concretizzare questo mio desiderio? Che fare? Dove?

E poi arriva l’invito ad andare a conoscere le monache agostiniane e devo ammettere che il mio primo pensiero è stato:” no! La clausura no, non fa per me! Tutto ma non la clausura”. Avrei voluto scappare ma lo Spirito, come al solito, mi ha guidato e ricordato che a noi basta fare il primo passo, al resto ci pensa Dio.
Così, con in cuore inquieto e titubante, sono andata e le ho conosciute.

Ricordo che subito sono rimasta colpita dal sorriso sul loro volto, dalla loro accoglienza cosi semplice ma cosi profonda, dai loro occhi che brillano per la gioia, dalla luce che emanano e mi sono chiesta:” ma che faranno mai dentro al monastero per essere così?” Io immaginavo una comunità triste, composta solo di suore anziane, annoiate, dietro una grata con i buchi stretti stretti… insomma i classici pregiudizi sulle monache ce li avevo tutti! Ho deciso quindi di armarmi di coraggio e di frequentare un corso vocazionale residenziale da loro, con altre 5 ragazze. Ogni volta tornavo a casa “diversa”, con tante domande per le provocazioni ricevute, con una sete di Dio sempre più forte. Da una parte non vedevo l’ora che passassero i giorni per poter ritornare da loro e dissetarmi della Parola (non ne avevo mai abbastanza!) dall’altra avevo una grande paura. Paura di un qualcosa di troppo grande e troppo bello che mi stava sempre più conquistando, paura di abbandonarmi nelle Sue mani, paura di non essere all’altezza di questo tipo di vocazione.

Successivamente, consapevole che non potevo più “scappare”, che la felicità che tanto cercavo forse era proprio lì tra quelle quattro mura, ho deciso di lasciare il mio lavoro e sono entrata in monastero per un’esperienza di circa un mese. Il 15 novembre varco, con il “cuore a mille” la clausura!
Subito mi rendo conto che sono persone normali, con le loro difficoltà, la loro storia, il loro carattere, e capisco che davvero il Signore le ha volute insieme, altrimenti come resisterebbero? Ho trovato una comunità che cammina insieme, passo dopo passo. Chi sta avanti tende una mano a quella rimasta indietro, l’incoraggia, l’aiuta a portare il suo dolore, le sue difficoltà e prega per lei. Insieme cercano il volto di Dio. Ed è proprio questo insieme che mi ha conquistato!

Ero affascinata dalla semplicità della loro vita, a volte discutevano anche animatamente, ma subito dopo erano lì che ridevano di cuore, che scherzavano tutte insieme e riflettevo sulle volte in cui noi, invece, siamo pronti a pensare male dell’altro, a portare rancore, a giustificare il nostro pensiero e comportamento sbagliato, a mettere un muro perché l’altro è diverso, proprio non ci capisce. Ho gustato grazie a quelle sorelle la bellezza della diversità, a viverla come un dono, ad essere come tanti pezzi di un puzzle in cui è difficile nella quotidianità trovare il giusto incastro, ma poi il risultato è qualcosa di grande. Mi rendevo sempre più conto che ognuna con i propri limiti cercava di dare il meglio di sé, consapevoli che Colui che le unisce è più grande di tutto quello che le divide.
E poi la pienezza della preghiera comunitaria e personale che scandisce la giornata e ti dà la forza di ricominciare da capo, sentire lo sguardo del Padre su di te, sentire che non sei sola. Ogni tanto quando avevo paura di fare qualcosa, guardavo il crocifisso e dicevo:” io cerco di fare del mio meglio, al resto pensaci tu”, e davvero Lui interveniva concretamente.
Il nostro è davvero un Dio tra noi.

Trascorso quel mese di “prova” avevo la certezza che proprio lì, tra quelle quattro mura, avevo trovato la felicità che tanto cercavo, avevo trovato ciò che rendeva la mia vita “piena”.
Quando ho dato l’annuncio “ufficiale” alcuni miei amici hanno tentato di convincermi che con il mio carattere solare non avrei resistito, che avrei dovuto lasciare e rinunciare a troppe cose, che ci voleva proprio coraggio… ma più passano i giorni, i minuti e più mi rendo conto che il mio non è stato coraggio! Ho semplicemente scelto tra due cose quella per me più bella. E sì, perché al contrario di ciò che si pensa in genere (e che pensavo anche io) la scelta di consacrarsi e in più in un ordine claustrale non è una via di fuga da qualcosa che fa paura, anzi il mondo là fuori a me è sempre piaciuto. Semplicemente non è la mia vocazione!

Dire che questi tre anni sono stati tutti “rose e fiori” sarebbe una bugia.
Come in un’escursione in montagna ogni tanto la stanchezza prende il sopravvento, lo zaino si fa pesante, il cuore mi dice che non ce la farò mai, ma poi arriva Dio, fedele come sempre, a risollevarmi da terra e a darmi la forza di ricominciare a muovere i miei piedi verso di Lui.
A noi ci chiede solo di mettere a disposizione con generosità quel poco che abbiamo, fossero anche solo cinque pani e due pesci, poi ci penserà Lui a fare la moltiplicazione e a sfamare la Chiesa.

Sì, perché la vocazione non è mai personale, è per il bene e la salvezza di tutti, e più passa il tempo più mi rendo conto di quanto sia vero. Portare all’altare ogni giorno durante la celebrazione eucaristica non solo le mie sofferenze ma anche quelle di coloro che si affidano alla nostra preghiera, testimoniare il nostro amore per Dio e la Chiesa cosi come siamo, cercando di fare del nostro meglio per vivere in verità il Vangelo, mi fa sentire parte di una comunità più grande, parte di quella famiglia che il Padre desidera.

Dio ha ascoltato il mio desiderio di metterLo al primo posto, o almeno di provarci e mi ha conquistata grazie al modo di vivere delle mie consorelle, alla loro presenza costante e perseverante nonostante tutto.
Infatti “cercare le cose di lassù”, come ci ricorda San Paolo, negli avvenimenti che accadono ogni giorno nella mia vita, nel mondo, nelle persone che incontro non è sempre così facile… da sola non riuscirei a farlo, proprio per questo avere delle sorelle che camminano insieme a me è il più bel regalo che Dio mi ha fatto e ogni volta che ci penso mi sento non solo “onorata” di far parte di questa comunità (che sento profondamente “mia”) ma sento anche il peso della responsabilità nei confronti di tutti coloro che vagano inquieti per le nostre vie.

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